Tre adulti, due bambine con monopattino e un cagnolino di piccola taglia per 6,4 chilometri (9000 passi, contati con l’apposita app).
Siamo partiti dalla Biblioteca Sormani, imboccando la circonvallazione interna su via Francesco Sforza, e ritornati al punto di partenza, facendo in senso orario il giro completo della città antica. In questi giorni di restrizioni COVID, con poco traffico, una domenica mattina fredda e soleggiata, ci siamo goduti il nostro tour, seguendo a piedi il tragitto che i milanesi di regola percorrono con il bus 94.
Ecco il nostro itinerario: via Francesco Sforza – Visconti di Modrone – San Damiano – via Senato – via Fatebenefratelli – via Pontaccio – via Tivoli – piazza Castello – via Carducci, via De Amicis, via Molino delle Armi – via Santa Sofia.
I tempi non sono proprio da record: ci abbiamo messo due ore e mezza, guardandoci intorno e fermandoci a visitare la chiesa di San Marco e a sgranocchiare delle caldarroste davanti al Castello Sforzesco. Stare in giro di più non si poteva: in questi giorni dobbiamo fare i conti con l’assenza dei bagni, e considerare la tenuta della nostra vescica.
Passeggiando lungo i Navigli che non ci sono più.
Quello che serve per affrontare l’impresa sono scarpe comode e una buona immaginazione, per figurarsi questa circonvallazione quando era lambita dalle acque dei Navigli, che giravano intorno alla città e alle mura medievali.
La cerchia interna: un po’ di storia
Chiariamo innanzitutto i termini: la cerchia, che ricalca il fossato difensivo delle mura medievali, era allagabile all’occorrenza, mentre per Naviglio si intende solo il tratto navigabile, dove il corso d’acqua era largo 9 metri e consentiva il passaggio di chiatte per il trasporto di materiali e merci, grazie ai lavori di canalizzazione voluti da Visconti e Sforza. La parte verso il Castello non era navigabile e serviva solo a portare acqua al fossato difensivo: il ramo di via Carducci era detto Naviglio di San Gerolamo, mentre il tratto di via Pontaccio era il Naviglio Morto.
Il centro di afflusso e smistamento delle acque era la zona di San Marco: qui c’era il laghetto, alimentato dalla Martesana, che arrivavano attraverso la Conca dell’Incoronata. Per capire come affluivano le acque possiamo dire che la Martesana era l’immissario, mentre la Vettabbia, verso Sud, era il canale di uscita e scarico.
Quando e perché furono chiusi i Navigli.
Alla fine dell’Ottocento, per motivi igienici furono interrati i rami stagnanti del Naviglio Morto e di San Gerolamo, insieme al laghetto di Santo Stefano, che tanto era servito ai tempi della costruzione del Duomo per il trasporto del marmo. In seguito, con il piano regolatore Beruto del 1884, si optò per la completa chiusura: rimanevano a quel tempo le ultime tratte di Via Senato e di San Marco. La copertura avvenne fra il 1929 e il 1930.
La città fu più moderna, la cerchia divenne una strada, ma si persero i mulini ad acqua, le sciostre (magazzini a filo d’acqua per le merci e il carbone), e il romanticismo dei canali. Qualcosa però rimase nel cuore dei milanesi, a giudicare dalla quantità di vecchie foto postate sui social, tanto che nel referendum del 2011 una percentuale bulgara del 94,32% ha votato a favore della riapertura.
Verso una riapertura? Se e quando…
Il progetto di riaprire i Navigli nella sua interezza punta a connettere l’intera cerchia con la Martesana, da Cassina de’ Pomm attraverso l’attuale via Melchiorre Gioia. L’estensione totale della rete di canali coinvolti è di 8 chilometri, con costi di realizzazione molto alti (si parla di 400 milioni di euro). Allo stato attuale si ritiene più fattibile la realizzazione di un primo step, con 2 chilometri di canali divisi in 5 tratte, collegate fra loro da tubi sotterranei. Tornerebbero così a scorrere le acque su via Melchiorre Gioia, la Conca dell’Incoronata, via Francesco Sforza, piazza Vetra, via Molino delle Armi, e sulla Conca di Viarenna.
Parliamo delle mura
Quando Federico Barbarossa nel 1162 assediò la città, le antiche mura romane non bastarono a salvarla, anzi furono rase al suolo assieme a tutto il resto, e i cittadini furono dispersi nei sobborghi. A distanza di pochi anni, i milanesi si rimisero all’opera per realizzarne di nuove, più robuste, dotate di sette porte principali e altri varchi secondari, detti pusterle. Di questi accessi alla città ne rimangono solo tre e noi li abbiamo incontrati sul nostro cammino: Porta Nuova, al termine di via Manzoni, nell’attuale Piazza Cavour; la Pusterla di Sant’Ambrogio e infine Porta Ticinese, quando ormai si approssimava l’ultimo tratto del nostro giro e cominciavamo ad essere un po’affaticati…
Le mura medievali durarono fino alla metà del Cinquecento, sostituite dai Bastioni Spagnoli, in una città che aveva allargato i suoi confini e che aveva bisogno, questa volta, di difese resistenti alle palle di cannone. Perché, nel frattempo, era stata inventata la polvere da sparo.
Fotocronaca del nostro giro
La partenza canonica dovrebbe essere dal Castello e ritorno: noi abbiamo scelto per praticità il punto più vicino alla nostra zona, quindi appuntamento davanti alla Biblioteca Sormani. Procedendo su via Francesco Sforza e poi San Damiano ci siamo fermati per una foto ricordo davanti al n.16, casa natale di Manzoni. Proprio qui davanti il canale era attraversato dal Ponte di ferro delle Sirenette, oggi al Parco Sempione. Poco oltre, uno dei punti più belli e panoramici dei Navigli era via Senato: guardando le foto d’epoca abbiamo individuato diversi edifici ancora presenti e riconoscibili.
Una piccola sosta sullo slargo davanti al Palazzo del Senato, oggi Archivio di Stato, con la bella facciata barocca di Francesco Maria Richini. Questo edificio imponente, che ha avuto diversi rifacimenti, nacque dopo la Controriforma per volere di San Carlo Borromeo come Collegio Elvetico: un seminario per i sacerdoti destinati alle valli Svizzere, allenati a fronteggiare l’espandersi del Calvinismo. Alla fine dell’Ottocento il palazzo fu anche la prima sede del Politecnico.
La bella statua in bronzo, una misteriosa figura con becco di uccello, è la Mère Ubu di Jean Miro, donata alla città dall’artista nel 1976.
A San Marco bisogna fermarsi: ecco perché
Continuando il nostro percorso su via Fatebenefratelli, chi a piedi chi in monopattino, siamo arrivati alla chiesa di San Marco, e qui ci siamo fermati un po’. Perché questo era il vero punto nodale del sistema dei navigli, da cui le acque vive della Martesana entravano a circolare nella rete di canali. Di questo scorcio si trovano quadri e foto d’epoca: la resa più bella è in una tavola di Angelo Inganni, con una chiatta di carbone che procede lenta sul canale. Doveva essere un luogo veramente suggestivo, e a dire la verità lo è ancora. E poi volevamo visitare l’interno di questa chiesa dedicata al patrono della Serenissima, in ricordo dell’aiuto fornito dai veneziani contro il Barbarossa. E proprio San Marco ci dà il benvenuto facendo capolino da sopra il portale, assieme a Sant’Agostino e Sant’Ambrogio: tre statue della prima metà del Trecento, opera forse del maestro campionese che lavorò all’abbazia di Viboldone.
La costruzione risale al 1264, quando Lanfranco Settala, priore dell’ordine degli Agostiniani, volle qui una chiesa gotica a tre navate, edificata molto probabilmente su una fondazione ancora più antica. Oggi l’interno ha un aspetto neoclassico, ma custodisce ancora nel transetto sud un concentrato di tesori di scultura e pittura del Trecento: una scoperta e una sorpresa per chi la visita. Oltre ai preziosi sarcofagi di Martino Aliprandi, di scuola campionese, e di Lanfranco Settala, del maestro toscano Giovanni Balduccio, c’è una drammatica e toccante Crocifissione trecentesca, spuntata durante un restauro sotto un altro grande affresco manierista dei Fiammenghini. Il risultato è una contrapposizione di stili e di linguaggi artistici e religiosi che diventa un’opera d’arte a sè, con una forza straordinaria.
Non si può non fermarsi a San Marco!
Verso il Castello e Cadorna
Da qui i nostri passi e i monopattini si sono avviati velocemente, attratti dall’imponenza del Castello, sempre un bel vedere. Ci abbiamo girato intorno un po’, fermandoci per uno spuntino a base di caldarroste, e proseguendo sempre in senso orario, abbiamo osservato la Rocca, fatta costruire da Galeazzo II inglobando l’antica Porta Giovia e un tratto delle mura medievali. Pochi passi e siamo arrivati a Cadorna, dove le bambine hanno scoperto a modo loro la scultura Ago, filo e nodo di Oldemburg e van Bruggen, inaugurata nel 2000, quando fu realizzata la nuova stazione di Cadorna su progetto di Gae Aulenti.
Anche il cantiere della M4 può essere romantico
Da Sant’Ambrogio in poi ci siamo imbattuti nel fatidico cantiere della M4, la futura linea blu della metropolitana. Ogni tanto ce ne dimentichiamo, e quando ce lo troviamo davanti in genere ci infastidisce, ci fa perdere tempo o, bene che vada, ci rovina il panorama. Pensiamo però a quando sarà operativa e ci porterà veloce come un teletrasporto da Linate a San Cristoforo, rendendo la città meno trafficata, più vivibile e magari con dei canali lungo cui passeggiare.
Verrà il giorno in cui diremo, magari con la vocina del vecchietto dei film western: “Io c’ero quando hanno costruito la M4!”. Quindi, a futura memoria, abbiamo immortalato le gru intorno a San Lorenzo e il cantiere con i pannelli che ricordano proprio la Cerchia dei Navigli!
Sul finire del giro avevamo gli occhi pieni di immagini e tante piccole cose da ricordare. Chissà se queste bimbe da grandi, quando si incontreranno diranno: “Ti ricordi quella volta che abbiamo fatto il giro di Milano in monopattino?”