Quadrilatero del silenzio: già il nome pieno di promesse invita a scoprire questo isolato fra via Serbelloni via Cappuccini via Mozart e via Vivaio. Poche centinaia di metri e Corso Venezia ci separano dal più celebrato Quadrilatero della moda, ma una distanza siderale divide il mondo dello shopping dall’eleganza tranquilla di queste vie residenziali, dove dominano le architetture di inizio Novecento.
Da piazza Duse al Quadrilatero del silenzio.
Qui veniamo spesso a rilassarci con passeggiata di tutta bellezza. Si parte da piazza Duse, ed è già una bella visione: intorno ad aiuole di rose bianche si affacciano imponenti palazzi di stile eclettico, in alcuni casi popolati da grandi sculture con figure umane.
Sullo sfondo, verso Corso Venezia e i giardini Montanelli, su via Tommaso Salvini si intravede l’arco realizzato dal Portaluppi, uno degli architetti che al loro tempo fecero la parte del leone in questo quartiere. Noi però prendiamo un’altra direzione e svoltiamo a sinistra su via Pietro Cossa.
Il nostro prossimo obiettivo è infatti Casa Berri Meregalli, all’incrocio fra via Cappuccini e via Vivaio (una parentesi sui nomi delle vie: qui sorgeva un importante convento oggi scomparso, in una landa verdeggiante dove si coltivavano e vendevano piante, tutto si spiega quindi).
Il palazzo è stato realizzato da Giulio Ulisse Arata in uno stile fantasiosamente neogotico: un trionfo di bugnati, putti, sculture di animali esoterici, diavoli satiri, caproni, rane, draghi, con ferri battuti esuberanti ornati su balconi e finestre. Amato e temuto dai bambini (a dire la verità fa un po’ paura anche a me), per mia figlia è e rimane da sempre la casa della strega, per via della scultura che si intravvede nell’atrio (una specie di antro luccicante di mosaici): la Vittoria alata di Adolfo Wildt, una testa bianca con la bocca spalancata che ricorda l’Urlo di Munch. Del resto era il 1918 quando realizzò quest’opera, e il ricordo delle atrocità della grande guerra era ancora una ferita aperta, la vittoria un grido di dolore.
Pochi passi più avanti, un’altra tappa amata dai bambini milanesi di tutte le età è il giardino di Palazzo Invernizzi. Si può solo sbirciare, più o meno furtivamente, fra le sbarre dell’inferriata, ma questo accresce il gusto della scoperta: una colonia di fenicotteri rosa si bagna in una fontana, all’ombra delle magnolie di un bellissimo parco, in un piccolo paradiso quasi proibito. A guardarli alzare e abbassare il collo sembra che danzino, si sente lo scorrere dell’acqua e il verso degli uccelli, il quadrilatero del silenzio è questo.
In via Serbelloni, basta alzare la testa per continuare a stupirsi: al numero 10 lo sguardo si ferma sul profilo angolare di Palazzo Sola Busca, con il celebre citofono a forma di orecchio dello scultore Adolfo Wildt.
Poco oltre si staglia l’edificio particolarissimo di Palazzo Fidia (1929-30), in mattoncini rossi. Qui Michelangelo Antonioni fece abitare Lucia Bosè in Cronaca di un amore. Da qualunque prospettiva lo si guardi si nota un affastellarsi di nicchie, mensole, balconi, torri e torrette: un insieme che è stato definito “jazz architettonico”.
Di fronte, su via Mozart, la cancellata di Villa Necchi Campiglio: un tesoro modernista immerso in un grande parco con piscina, realizzato negli anni Trenta dall’architetto Portaluppi. Appartenuta alla famiglia Necchi, industriali che producevano la celebri macchine da cucire e molto altro, è oggi una delle più belle case museo di Milano, proprietà del FAI che organizza le visite guidate (oltre agli arredi originali contiene una preziosa collezione di arte contemporanea). Il giardino, in tempi non covid, è sempre aperto per una breve sosta all’ombra delle magnolie. Anche qui un set: Io sono l’amore di Luca Guadagnino (2009) racconta perfettamente lo stile altoborghese di questa residenza. Consigliatissima una visita, appena riaprirà.
Di fronte a Villa Necchi, al civico 9, un vicino di casa all’altezza della situazione: villa Mozart, preziosa architettura anni Venti, affondata in un tappeto d’edera, oggi sede di una maison di gioielli. Peccato che non sia visitabile e che non si riesca nemmeno a sbirciare, chiusa come Fort Knox.
Casa Campanini, del 1904, è uno degli esempi liberty più citati, quindi vale la pena allungare un po’ fino a via Bellini 11. Qui l’architetto Alfredo Campanini realizzò la propria abitazione, occupandosi del disegno di tutte le parti decorative, che raggiungono l’apoteosi del Liberty: le due grandi figure femminili sul portale, modellate in cemento, le vetrate e i ferri battuti di Mazzucotelli. Se passate in un giorno lavorativo (l’edificio è occupato interamente da uffici) riuscite magari a dare un’occhiata all’interno, dove le decorazioni più elaborate raggiungono i vertici del colore e della fantasia: ne vale la pena.
Come avrete notato questo giro, costellato di edifici privati, fra abitazioni di lusso e uffici, è un percorso per iniziati, cacciatori di angoli nascosti e di piccole scoperte, allenati a cogliere i particolari dietro a un portone o fra le inferriate di un giardino. Frustrante a volte, ma la soddisfazione della conquista, quando si riesce a cogliere un particolare inedito in un androne socchiuso, compensa lo sforzo.
Chiedere cortesemente ai portinai, qualche volta, aiuta.
Proseguendo su via Malpighi e dintorni
Se la vostra voglia di Liberty non è ancora sazia, abbandonate il quartiere del silenzio e avventuratevi nell’animata zona fra porta Venezia e Corso Buenos Aires. In via Malpighi 3, Casa Galimberti, realizzata dall’architetto Giovan Battista Bossi, incanta per le sue ceramiche colorate: grandi figure femminili e maschili seminude in un eden di foglie, fiori e frutti animano la facciata come lo schermo di un cinematografo, abbracciando balconi e finestre decorate con ferro battuto, che completano questa variopinta scenografia.
E infatti il cinematografo è a due passi: fra via Malpighi e via Melzo, in Via Paolo Frisi 8, il glorioso Dumont fu aperto nel 1910 e funzionò fino al 1932. Rimane la palazzina liberty che lo ospitò, oggi biblioteca comunale.
Di fronte Casa Guazzoni, in via Malpighi 12, un progetto di Gian Battista Bossi, lo stesso architetto di Casa Galimberti: anche qui una facciata ornatissima con decorazioni in cemento e balconi in ferro battuto di Mazzucotelli. Se avete la fortuna di passare quando il portone è aperto e riuscite a sbirciare l’ingresso e la scala esagonale con una balaustra fiorita e bellissime decorazioni dipinte.
Palazzo Castiglioni: da qui partì tutto.
Per terminare o cominciare il vostro cammino iniziatico nel Liberty milanese dovete tenere presente che il punto di partenza è Palazzo Castiglioni dell’architetto Sommaruga, in Corso Venezia 47, ritenuto il manifesto del movimento in città. Attuale sede milanese dell’Unione Commercianti, fu realizzato dall’impresa costruttrice Galimberti (proprietari del palazzo di via Malpighi appena descritto). Castiglioni era un ricco imprenditore che scelse un architetto di grido per il proprio palazzo residenziale: lo volle moderno e provocatorio, che spiccasse, in pieno Corso Venezia, fra le residenze neoclassiche dell’antica aristocrazia.
In effetti Sommaruga stupì e scandalizzò con la prima grande costruzione Art Nouveau in città, che guardava alle realizzazioni di quegli anni in Francia e Inghilterra.
Quando furono tolti i ponteggi nel 1903 fecero scalpore soprattutto le due grandi figure femminili nude di Ernesto Bazzaro che incorniciavano il portale, che valsero al palazzo il nomignolo di Ca’ di ciapp. Le dovettero rimuovere, ma saranno riutilizzate in un’altra opera di Sommaruga, Villa Faccanoni, in via Buonarroti, 47, oggi sede della clinica Columbus.
Oggi ne ammiriamo la facciata in bugnato grezzo, con sculture e decorazioni in ferro battuto e oblò tondeggianti. Quando gli uffici sono aperti si può entrare e dare uno sguardo allo scalone monumentale con una elegante ringhiera floreale. Nonostante i restauri degli anni Settanta abbiano modificato molto la struttura interna al primo piano sopravvive la sala dei pavoni, e nell’atrio la Lampada delle libellule di Alessandro Mazzucotelli.
Il Liberty a Milano: i nomi più importanti. Piccolo vademecum per orientarsi fra i suoi protagonisti
Oltre a Giuseppe Sommaruga, uno dei maggiori interpreti del modernismo in Italia, altri nomi che trovate citati di frequente sono Giovan Battista Bossi, che realizzò casa Galimberti e Guazzoni in via Malpighi, Alfredo Campanini (Casa Campanini in via Bellini), Ernesto Pirovano, famoso per casa Ferrario in via Spadari.
Con Giulio Ulisse Arata, di casa Berri Meregalli, si parla più di eclettismo, che si sviluppa nei filoni neogotico e neorinascimentale: li vediamo molto in città, fateci caso.
Nella scultura e nelle decorazioni in ferro battuto il nome che troviamo più di frequente è quello di Alessandro Mazzucotelli, geniale fabbro divenuto famoso in tutto il mondo (lavorò anche in Messico) per il suo stile originale, bravissimo nel rendere con realismo gli elementi vegetali e zoomorfi.
Il Cancello delle farfalle di Casa Moneta, in via Ausonio 3, è considerato il suo capolavoro. Dal momento che non l’ho mai visto sarà una delle prossime tappe di ViaggiVicini!